Una disgrazia

L’anno è cominciato con una disgrazia. Andando alla scuola, questa mattina, io ripetevo a mio padre
quelle parole del maestro, quando vedemmo la strada piena di gente, che si serrava davanti alla porta
della Sezione. Mio padre disse subito: – Una disgrazia! L’anno comincia male! – Entrammo a gran
fatica. Il grande camerone era affollato di parenti e di ragazzi, che i maestri non riuscivano a tirar nelle
classi, e tutti eran rivolti verso la stanza del Direttore, e s’udiva dire: – Povero ragazzo! Povero Robetti!

  • Al disopra delle teste, in fondo alla stanza piena di gente, si vedeva l’elmetto d’una guardia civica e la
    testa calva del Direttore: poi entrò un signore col cappello alto, e tutti dissero: – È il medico. – Mio
    padre domandò a un maestro: – Cos’è stato? – Gli è passata la ruota sul piede, – rispose. – Gli ha rotto il
    piede, – disse un altro. Era un ragazzo della seconda, che venendo a scuola per via Dora Grossa e
    vedendo un bimbo della prima inferiore, sfuggito a sua madre, cadere in mezzo alla strada, a pochi
    passi da un omnibus che gli veniva addosso, era accorso arditamente, l’aveva afferrato e messo in salvo;
    ma non essendo stato lesto a ritirare il piede, la ruota dell’omnibus gli era passata su. È figliuolo d’un
    capitano d’artiglieria. Mentre ci raccontavano questo, una signora entrò nel camerone come una pazza,
    rompendo la folla: era la madre di Robetti, che avevan mandato a chiamare; un’altra signora le corse
    incontro, e le gettò le braccia al collo, singhiozzando: era la madre del bambino salvato. Tutt’e due si
    slanciarono nella stanza, e s’udì un grido disperato: – Oh Giulio mio! Bambino mio! – In quel momento
    si fermò una carrozza davanti alla porta, e poco dopo comparve il Direttore col ragazzo in braccio, che
    appoggiava il capo sulla sua spalla, col viso bianco e gli occhi chiusi. Tutti stettero zitti: si sentivano i
    singhiozzi della madre. Il Direttore si arrestò un momento, pallido, e sollevò un poco il ragazzo con
    tutt’e due le braccia per mostrarlo alla gente. E allora maestri, maestre, parenti, ragazzi, mormorarono
    tutti insieme: – Bravo, Robetti! – Bravo, povero bambino! – e gli mandavano dei baci; le maestre e i
    ragazzi che gli erano intorno, gli baciaron le mani e le braccia. Egli aperse gli occhi, e disse: – La mia
    cartella! – La madre del piccino salvato gliela mostrò piangendo e gli disse: – Te la porto io, caro
    angiolo, te la porto io. – E intanto sorreggeva la madre del ferito, che si copriva il viso con le mani.
    Uscirono, adagiarono il ragazzo nella carrozza, la carrozza partì. E allora rientrammo tutti nella scuola,
    in silenzio.

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